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mercoledì 13 dicembre 2017

M'INNAMORO DELLE STORIE

M’innamoro delle storie, quelle ben fatte. È più forte di me e può essere un problema.

M’innamoro delle storie che si dispiegano e si disfano come un filo dal rocchetto, così, da sole, senza una mano che le tiri. O meglio, dando l’impressione che non ci sia.

M’innamoro delle storie che si dispiegano e si disfano al buio, di notte, nell’altra metà del giorno, quella fatta per riposare, per coricarsi e abbassare il volume dei pensieri.

M’innamoro delle storie ben fatte, è più forte di me, e può essere un problema. Perché quando una storia è ben fatta e te ne innamori, ti ci cali dentro, ti lasci rapire e rapire non è un bel verbo. Potrebbe essere una forma di sindrome di Stoccolma. Rapita da una storia ben fatta, da una pila di fogli rilegati, da parole accostate, da sguardi immaginati, da una mano stringente dell’inchiostro, da una macchinosa ripresa, o da un pensiero.

Il problema che tale sindrome di Stoccolma provoca non è il rapimento, ma l’innamoramento che nella circostanza nasce e quindi imbriglia. Lasciarsi imbrigliare da una storia equivale a disperdersi in un contesto irreale, o perché solo immaginato o perché reale ma non nostro. Il fatto è che non posso farne a meno. È una scelta, una ricerca, un bisogno di lasciarsi prendere e portare da qualche altra parte.

La realtà non mi basta, la via di fuga, l’uscita di sicurezza devono sempre essere visibili. Possono essere degli occhi ben addestrati, dei gesti pensati, dei silenzi pesanti. Le parole giuste, i versi non detti, le frasi apparentemente sbagliate. I paesaggi studiati, momenti di serendipità o disegni della natura. un ragionamento che fila, una trama perfetta che si svela alla fine o una conclusione mozzata. La tensione, il sollievo, la passione, il dolore.

Può essere qualsiasi cosa, l’importante è non aspettarsela. Si presenta, la colgo, lascio che si insinui e il pasticcio è combinato. Non tocco più terra, navigo in gesti d’altri, in scene costruite così bene da parere vere e mi immedesimo, vorrei essere lì, al posto di qualcuno di loro, sentire quel che sentono, capire se un briciolo di verità lì e in me nel lì esiste.

Non so se in tale fuga ci sia spazio per la felicità. Il pensiero che essere felici si accompagni all’accontentarsi, mi spaventa. La mediocrità è la mia dama con la falce. Così, per timore di vedermela appresso, scappo in altri luoghi, in altre persone, in diversi sentimenti. Per fare ciò, mi faccio bastare il pensiero del quale riesco pure ad essere gelosa, possessiva.

Amo provare emozioni in esclusiva, ingenua nella speranza della loro unicità e preziosità. M’illudo per provare piacere. Autoinfliggermi amori non corrisposti, una sindrome di Stoccolma. Vittima consapevole e volontaria di storie ben fatte.  Ma si sa: il filo tra piacere e dolore può essere sottilissimo, talvolta invisibile.

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